Partiamo da Milano con comodo con Franz e Cris per una delle più belle creste delle Alpi. Ci imbattiamo nel traffico di un weekend di luglio quindi dopo un bel po di tempo arriviamo a Pontresina, da qui dopo aver posteggiato al modico prezzo di 20€ per 3 giorni, io ed Ale approfittiamo del servizio di trasporto con calesse verso il ristorante Roseg che fa risparmiare un paio d’ore di cammino su una strada pianeggiante abbastanza noiosa, pur se in un bel panorama. Il viaggio con l’omnibus (un calesse che porta una decina di persone) costa 20€ e il tempo è circa lo stesso che ci si metterebbe a piedi ma è più rilassante 🙂 Franz e Cris ne approfittano per farsi portare lo zaino (5€) e si incamminano.
Dal Roseg iniziamo la camminata verso la Chamanna Tschierva, lungo un sentiero dapprima pianeggiante e che poi inizia a salire costante con il panorama della testata della valle del Roseg che si apre sempre più con le vette che si avvicinano… arrivati nei pressi della morena del ghiacciaio (impressionante pensare a quanto si sia ritirato) si comincia a vedere il rifugio e si può scegliere tra il sentiero sul filo della morena o una variante più tranquilla sotto il margine.
Il rifugio è carino come costruzione e piuttosto grande, anche se il trattamento per noi non è stato dei migliori: eravamo gli unici ad aver scelto il solo pernotto senza mezza pensione, un po per il costo e un po perchè non ci hanno parlato molto bene della qualità del cibo, e casualmente eravamo gli unici sistemati nel locale invernale, senza riscaldamento e piuttosto spartano. A parte l’umidità ci è comunque venuto comodo per mangiare tranquillamente.
Nota speciale sui costi: per una bottiglia da 1,5LT di acqua mi hanno chiesto 12€!!!! in cambio però ci hanno fatto prendere il thè il mattino successivo…
Sveglia verso le 3 e ci portiamo al piano di sopra per approfittare del thè offerto dal rifugio, verso le 4 ci mettiamo in marcia alla luce delle frontali più o meno per ultimi. Un bel po di persone vanno verso la nord del Roseg, altre verso la Biancograt. Seguiamo il sentiero trovando varie catene e qualche staffa, aiutati anche dai bolli catarifrangenti. In verità qualcuno in più sarebbe stato utile, tant’è che ad un certo punto arrivati ad un canale io e Franz sbagliamo strada: iniziamo a salire lungo il canale mentre bisognava continuare dritti. Ale e Cris invece azzeccano la strada e proseguono. Ormai noi siamo troppo alti e tentiamo di salire ancora un po per poi andare a traversare anche perchè dal GPS di Franz risulta che siamo sulla traccia giusta.
Alla fine siamo costretti a tornare sui nostri passi scendendo per gli sfasciumi nel canale e quindi riprendiamo la strada con un’ora circa di ritardo. Raggiungiamo Ale e Cris sul pendio che porta alla Fuorcla Prievlusa dove attacca la cresta vero e qui Cris ci comunica la sua intenzione di scendere. Ale lo accompagnerà giù e con dispiacere io e Franz continuiamo, arriviamo all’attacco che siamo l’ultima cordata ma giusto in tempo perchè si liberi la coda in attesa di partire.
Durante il primo tratto su roccette superiamo una cordata da 4 (!!) con una ragazza che sembra abbastanza in difficoltà, al termine delle roccette c’è un primo tratto di cresta nevosa che porta sino ad un torrione che superiamo sulla sinistra. Da qui in avanti neve, cresta, neve, cresta… infinita. Le condizioni sono buone a parte un forte vento che da un po fastidio. In alcuni punti siamo costretti a fermarci ed accucciarci a terra per non perdere l’equilibrio.
La difficoltà tecnica non è elevata, siamo sui 45° circa, ma l’impegno psicologico è notevole: sei in cresta per 600mt di dislivello con a destra e a sinistra un migliaio di metri di parete… non sono permessi errori. A tratti vi è una buona traccia mentre in altri tratti la neve è ghiacciata per cui non si forma traccia e si procede ramponando parallelamente al terreno. Arriviamo in vetta al Pizzo Bianco dove finalmente termina la parte nevosa della salita.
Da qui inizia la parte tecnicamente più difficile della salita, un primo pezzo su cresta rocciosa con arrampicate e disarrampicate attorno al terzo grado con anche una breve doppia. Dove inizia la cresta rocciosa troviamo un tappo composto da varie cordate ferme e ci mettiamo in coda… qui prendiamo molto freddo nell’attesa che avanti si sblocchi la situazione. Dietro invece vediamo l’elicottero della Rega che arriva a soccorrere la ragazza della cordata che abbiamo superato. Due scenderanno in elicottero e gli altri proseguono raggiungendoci in sosta.
Dopo il primo tratto di roccette si affronta un torrione che oppone la più alta difficoltà in arrampicata attorno al IV grado, poi lo si ridiscende e si sale sull’ultimo pendio misto rocce e neve e infine l’ultimo aereo tratto di cresta per giungere alla vetta!
Tutta la parte di cresta rocciosa finale in realtà è molto divertente e si usano molto bene sia le picche in aggancio che i ramponi e non si sentono difficoltà particolari tranne per me in un passo in cui bisogna “saltare giù” da una roccia… ma in realtà è ben protetto da uno spit.
Dalla vetta iniziamo a scendere verso la spalla del Bernina, sul versante italiano, sempre per cresta e misto sino ad una prima doppia, dopo di questa un altro traverso e un’ultima doppia per arrivare al ghiacciaio. La fase delle doppie è molto lunga e intuiamo che una cordata di Livornesi potesse essere quella che ha causato il “tappo”: ci sono 3 anelli di calata paralleli e mentre loro due scendono da uno di questi, TUTTE le altre cordate fanno in tempo a calarsi dagli altri :D. I livornesi sono dei pazzi… al momento di lanciare la corda la scagliano in direzione opposta a dove devono andare ed esattamente in mezzo alle mie corde già lanciate sulle quali sto scendendo… la discesa è un incubo con le loro corde in mezzo alle palle che devo continuare a spostare… sinchè recupero tutta la loro corda per rilanciarla dalla parte giusta…
Dal ghiacciaio si scende dritti verso il rifugio Marco e Rosa al quale arriviamo verso le 17.30. La nostra intenzione era scendere direttamente verso il Morterasch ma il rifugista ce lo sconsiglia dicendoci che ci vogliono 6 ore… Decidiamo quindi di fermarci la notte al rifugio e rientrare il giorno successivo facendo la traversata dei Palù sino al Diavolezza.
Al rifugio i telefoni non prendono (saltuariamente forse Tim) e quindi ci prestano il telefono fisso per avvisare casa.
La cena al rifugio è buona e c’è un clima molto goliardico grazie in particolare al gestore (Bianco) e al cuoco che dopocena di prodigano in numerose gag e offerta di genepy.